Adesso io

Questo è il testo di Deborah: un riflessione profonda, dolorosa e sentita che racconta come la dipendenza amorosa sia una gabbia nella quale perdiamo di vista il nostro valore.

L’immagine che accompagna il testo è un lavoro di Paul Sark.

Buona lettura!

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Non dire no

Guardo il foglio bianco e mi sento stringere la gola.
L’approdo sicuro in cui svuotare i pensieri e srotolare i sentimenti,
ora mi sembra
una palude infestata.
Come se non potessi liberarmi così semplicemente
dal peso scuro dei momenti fragili.
Ma l’idea di toccare il fondo per risalire non mi è mai piaciuta.
Un po’ perchè gli abissi mi hanno sempre messo paura, ma soprattutto perchè
credo sia proprio nei momenti difficili che si debba rispondere
al richiamo della vita, senza esitare.
Io invece mi sono leccata troppo a lungo le ferite, spaesata e assente.
Ho allontanato i sentimenti, di qualunque genere, per non dover sorridere più.
Senza spiegazioni ho preferito lasciare uno spazio vuoto, egoista indifferente,
almeno in superficie.
Il tempo imposto dal mondo mi stava stretto, così ho smesso di seguirlo.
Mi sono seduta nell’angolo più buio ed ho atteso mettessero la musica che piace a me.
Per ritornare a danzare e per rispondere a quella tacita domanda che sentiamo dentro quando siamo ad un passo dallo sgretolarci:
“Vuoi provare ad essere felice?”
Non dire no
vikbal

La scena dell’addio

Ho aspetttato a lungo, seduta da sola.

In una stanza bianchissima e spoglia.

Musica bassa usciva da un altoparlante sgangherato.

E’ passato troppo tempo per riuscire a mantenere la calma.

Senso di vertigine, mischiato alla voglia.

Mani strette attorno al collo

scivolano addosso e bruciano,

il desiderio ansima.

Pelle e immaginazione,

fantasia con morbido istinto.

Asciugherò l’idea del dolore passando la lingua su di te.

Gustando ogni centimetro del tempo che non mi concederai.

post

Avventura all’interno di un bosco incantato.

Invece è una camminata a tentoni in qualcosa di simile a una palude. Ma più buia.
Mi ricordano che non bisogna smettere di sorridere.
Non lo farò.
Ma l’analisi di quello che sono stata fin’ ora mi impone un attimo di raccoglimento.
Non spiegherò a orecchie voraci i segreti più accesi dei miei giorni.
Sorvolerò con leggerezza sui motivi e le giustificazioni.
Sono molto brava a darmi ottime ragioni.
Mi soffermerò invece su come affrontare ogni istante.
E lo voglio fare apertamente.
Voglio ricordarmi che la delicatezza è forza.
Vorrei lasciare dimenticati in un angolo le barriere e i preconcetti.
I giudizi e gli stereotipi.
Cercare l’essenza, il gusto della cura. In tutto.
Scorderò l’ansia, l’urgenza, la noncuranza.
Apprezzerò un incontro fugace, continuando a sorridere anche quando rimarrò da sola.
Non dimenticherò cosa vuol dire “amore”.
Non consumerò la luce fioca della speranza che ancora abita in me.
Mi destreggerò da sola fra gli imprevisti e i dolori della vita.
Imparerò e stavolta ne farò tesoro
che per essere come sono devo dimenticare tutto ciò che fa male.

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E così inizia il sogno

Ho avuto l’onore di essere chiamata a partecipare al saggio finale della sezione di danza della Gat ( ginnastica artistica trentina) con un mio testo poetico. Le ragazze hanno creato la coreografia sulla mia lettura, senza nessuna musica. Un esperimento coinvolgente e, a sentire i commenti post esibizione, molto riuscito.

Per me è stato molto intenso seguire le prove, conoscendo piano piano le caratteristiche distintive di ogni giovane ballerina, facendomi coinvolgere dalla loro allegria e dalla spontaneità.

Ho seguito il saggio dalla regia, posizione privilegiata, che non ha comunque potuto schermare la mia emozione e l’immensa gioia nel vederle avere il successo che meritano.

Sperando di poter ripetere presto una collaborazione simile uso questo spazio anche per ringraziare la maestra Marika e tutti i tecnici che mi hanno supportata!

E così inizia il sogno
Le parole non si scrivono, ma nascono da sè.
Posso provare a trattenerle, ma sono poesie che non accettano
di restarsene in un angolo.
Battono un ritmo morbido, disegnano sentieri.
Per raggiungere il cuore di chi è in ascolto.
Complicità celata che si alza in piedi e incomincia a ballare.
Di fronte ai tuoi occhi.
E vorresti distogliere lo sguardo, andare via, dimenticartene.
Invece resti lì, immobile.
Ammirato e disorientato.
E così inizia il sogno:
ho camminato in radure spoglie
controvento.
Ho trovato rifugio in grotte umide
di istinto e paura
vestita di finzione e indifferenza.
Così diversa da me, anima sfigurata e fragile.
Ho annientato l’urgenza di un cambiamento,
cieca a forza.
Incapacità velenosa di mantere un volo alto.
Costante.
Navigo invece in acque agitate
ribollenti di flutti.
Altalena scricchiolante che sfiora le nuvole
e nel ritorno perde terreno,
alla ricerca del nulla.
Trabocco impazienza,
desidero, sogno,
spero nella luce.
E nel tocco lieve di premure inattese.
La seduzione del sogno
agita tutte le mie notti.
Il desiderio non ha abbandonato
la mia sostanza.
Spando colore ad ogni passo, segno il cammino.
Cerco la libertà.
Di volare via come una foglia soffiata dal vento, di danzare
nell’aria dolce del sole di maggio.
Sono acrobata in mondi che non esistono
passeggio in bilico su strade polverose
di ricordi ed incertezza.
Vorrei riuscire a piangere e sorridere nello stesso momento. Diventare brezza sottile, imparare a cantare e contenere nel mio cuore ogni possibilità.
Tutto per riuscire ad essere un po’di più. Più simile alla persona che sono dentro.
al

Aprile di Anna Frank

“Prova anche tu,una volta che ti senti solo o infelice o triste, a guardare fuori dalla soffitta quando il tempo è così bello. Non le case o i tetti, ma il cielo. Finché potrai guardare il cielo senza timori, sarai sicuro di essere puro dentro e tornerai ad essere felice.”

Ho letto queste parole e mi ci sono persa dentro.

Perchè il mese di aprile, per me, è importante: il mio compleanno, la rinascita dello spirito e della natura, il tempo mite che incalza i giorni luminosi pieni  di promesse. Questa poesia di Anna Frank mi torna in mente ogni anno, come un consiglio da non dimenticare.

fran

La Luna e il diamante

 

Questo testo nasce come risposta ad una sfida lanciatami da una persona che stimo molto. I suoi commenti e le critiche, che non mi ha mai risparmiato, mi spronano a migliorare, a leggermi a fondo, a non accontentarmi della prima stesura di un testo.Questa volta come traccia mi ha dato solo il titolo…Buona lettura, aspetto pareri!

Aveva grandi occhi azzurri con ciglia finissime e bionde.
Le labbra rosa increspate in un sorriso giocoso.
Aveva mani piccole e paffute e piedini deliziosi.
Sara l’aveva notata nella vetrina di un negozio di giocattoli: era seduta composta in una poltroncina fatta di polistirolo, indosso un abito bianco di seta leggera con delicate maniche a sbuffo e qualche inserto di velluto rosa.
La piccola Sara aveva sorriso guardandola e stringendo un po’ la mano della nonna materna che l’accompagnava quel giorno.
Luna sarebbe diventata la sua bambola più cara.
Sono passati tanti anni da quel pomeriggio d’infanzia: gli anni sono scivolati veloci e Sara è diventata una donna indipendente e piena di impegni.
A volte, coricata nel letto mentre cercava di prendere sonno, ripensava alla sua bambola, a quella dolce sensazione di tenerla in braccio: era morbida al tatto e profumava di talco come fosse stata una bambina vera. Le accarezzava i capelli biondi, amorevolmente, e rimaneva in attesa di una sua reazione , come se potesse sorriderle di rimando o sbattere le palpebre in un gesto incantato.
Per Sara rappresentava qualcosa di speciale e non solo per le dimensioni realistiche e le fattezze perfette. Era stata la compagna dei mille giochi che inventava con appassionata fantasia, la confidente silenziosa di quegli anni spensierati.
Cresciuta, aveva riservato un posto speciale alla bambola Luna, un ripiano tutto suo nell’ armadio guardaroba.
Il vestitino non era più candido e anche i suoi occhi sembravano cambiati, come offuscati dal tempo immobile che era comunque passato.
Qualche tempo fa le diede una spolverata: la girò con cura e se la strinse al petto. Passando con le mani sulla schiena sentì un rigonfiamento.
Poteva essere l’imbottitura che si era raggrumata col tempo e nel cercare di sistemarla aprì la cerniera che le faceva da spina dorsale. Immerso nel cotone ingiallito troneggiava un diamante,
brillante e luminoso, grande all’incirca come una pallina da ping pong. Sara non ci poteva credere.
Un sorriso spontaneo le salì alle labbra. Come se d’improvviso le si fosse rivelata una verità che fino a quel momento aveva solo pensato.

Si strinse forte Luna al petto sussurrando un “Grazie”.
Forse stava sognando, aveva pensato Sara. Ora aveva anche le visioni? Avrebbe dovuto dormire di più, lo sapeva bene, staccare da quella vita così ansiogena, imbrigliata in responsabilità che spesso la opprimevano..
Eppure sentiva fra le mani la consistenza della pietra preziosa.
Era reale, vero come la consapevolezza che le si faceva spazio dentro. Aveva capito che quella magia era proprio per lei,per la piccola Sara che era cresciuta fra delusioni e speranze, nonostante i desideri che non si erano mai realizzati. Il suo animo così sensibile era stato spesso una zavorra scomoda da portarsi dietro, ma ora la sua innata capacità di credere ai sogni le dava un nuovo, insperato e incredulo appiglio di fiducia per il futuro.

Del resto – pensa- sono le piccole cose di cui si ha cura che rivelano la loro preziosità in modi che spesso non sappiamo nemmeno immaginare.
Sara lascia il diamante incastonato nella schiena della bambola Luna, non ha bisogno di controllare se rimarrà ancora lì.
Ora sa che tutte le volte che avrà un dubbio sulla sua vita, su quale strada intraprendere, in che modo affrontare una difficoltà o un dolore, ricorderà questa favola e sorridendo capirà cosa fare.

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la mia prima video intervista

Arriva poi  il momento di metterci la faccia. Fisicamente.

Così, sfidando timidezza e la mia proverbiale agitazione, ho cercato di raccontare un po’ quello che faccio e perchè  lo faccio.

Alzate il volume delle casse se volete capirci qualcosa, purtroppo l’audio è un po’ indietro.

Ringrazio l’invito a partecipare a “Re:attore” progetto della Provincia di Trento con The Hub Rovereto, sviluppato per conoscere e promuovere il potenziale culturale attivo in Trentino.

Buon ascolto!

video intervista Viky Keller

 

La natura umana

Questo era il tema dell’incontro e di seguito la mia interpretazione per SCRIPTA -l’aperitivo in versi e prosa-. Sono graditi commenti, critiche costruttive, pareri e tutto quello che vi sentirete di condividere…Buona lettura!
LA NATURA UMANA
Che cosa siamo?
Non siamo niente di determinato se la nostra sostanza ribolle a vuoto.
Bruciamo l’anima nei giorni rapidi
che ci assorbono e distraggono.
Ci puntelliamo alle fragilità, sfidando i limiti.
Piangiamo. E ricominciamo.
Poi ridiamo: vogliamo crederci!
Speriamo, oltre l’immaginabile.
Siamo fatti di granito e nuvole
alla ricerca di un riparo.
E di una carezza che smetterà di farci dubitare.
Siamo singoli, ma non da soli.
Sbagliamo senza remore
e fatichiamo a perdonare anche noi stessi.
Siamo cenere, necessità e domani.
Dobbiamo essere umili, sensibili e grati.
Tornando a ricordare che la natura umana è un sentiero.
E che solo il nostro coraggio determina il punto fino a cui possiamo arrivare.
-Viky Keller
nuvola

Sai essere solo quello che vuoi

A piedi nudi continuo a vivere. 
Semplicemente con tutti gli errori nelle tasche.

Scosto a malapena i capelli davanti agli occhi. Ho ancora paura di dormire da sola, lo sai?

Controllo che tutte le finestre siano chiuse, sbarrate. La porta a doppia mandata con le chiavi nella toppa.

Nessun rumore o ticchettìo. La tua sveglia rimarrà a vita nel pensile nell’altra stanza.

E il freddo? Ancora brividi nella notte, nonostante tutto. Cerco lo scialle che mi hai regalato. Non basta.

Sono le assenze che fanno tremare il cuore.

Leggo qualche pagina di un libro che ho già finito. Non voglio sorprese, stasera.

Stropiccio gli occhi con le mani e ricordo. Non ho più pianto da quel giorno.

In cui tu hai messo lo sguardo dentro al mio, imprigionando la mia libertà.

Sai essere solo quello che vuoi.

Non stasera. Spegni la luce.

Il Vuoto mi ha chiamato e avrò da fare per un po’.

Fermo la testa contro il muro, guardando il bianco.

Affondo con le mani nella malinconia di non sapermi bastare.

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