Credo, ma non so.


A piedi nudi continuo a vivere. Così.
Semplicemente e con tutti gli errori nelle tasche.
Scosto a malapena i capelli davanti agli occhi. Ho ancora paura di dormire da sola, lo sai? Controllo che tutte le finestre siano chiuse, sbarrate. La porta a doppia mandata con le chiavi nella toppa. Nessun rumore o ticchettio. La tua sveglia rimarrà a vita nel pensile nell’altra stanza. E il freddo? Ancora brividi nella notte, nonostante tutto. Cerco lo scialle che mi hai regalato. Non basta. Sono le assenze che fanno tremare il cuore. Leggo qualche pagina di un libro che ho già finito. Non voglio sorprese, stasera. Stropiccio gli occhi con le mani e ricordo. Non ho più pianto da quel giorno. In cui tu hai messo lo sguardo dentro al mio, imprigionando la mia libertà. Sai essere solo quello che vuoi. Non stasera. Spegni la luce. Il Vuoto mi ha chiamato e avrò da fare per un po’. Fermo la testa contro il muro, guardando il bianco. Affondo con le mani nella malinconia di non sapermi bastare.

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Racconterò di luoghi da cui ho dovuto fuggire.

Di notte, guardinga e silenziosa. Lasciando tutto ciò che possedevo, nessun ricordo.Una vita passata che non tornerà, ma che mi sveglia con incubi e pensieri. Vividi. Perchè i dolori anche se li ignori rimangono attaccati, come unto, sulla pelle. Impregnano l’umore e disegnano nuove rughe sul volto e intorno agli occhi. Diventano tremore nelle mani che impacciate cercano sempre qualcosa che non trovano. Il dispiacere opaco e vibrante si allarga dentro e ogni tanto toglie il fiato. Lo sguardo rimane fisso e sembra triste anche se non sta pensando a niente. Io mi fermerò in una locanda per un pezzo di pane e del vino. Riempire lo stomaco come unica consolazione. Osserverò con curiosità le venature scure del legno sul tavolo. Il mio è il solo posto occupato, non mi devo preoccupare di sguardi indagatori, di domande a cui non saprei rispondere. Perderò tempo, consumerò. Ho detto addio a quella porta che ti cela al mondo mentre ancora stai dormendo. Il mio pensiero ti farà da coperta e da legna nel camino. Come se potessi ancora proteggerti. Poi mi stringerò il mantello addosso, il cappuccio sul volto, le lacrime bianche ad oscurarmi gli occhi.“Sarai sempre il mio pensiero più grande.”sussurrerò “Ma ora vado.”

E sparirò in una nuvola di polvere, diventando leggera nell’aria fredda della prima luce dell’alba.

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La consolazione di scrivere

Chiara è una ragazza semplice, minuta ed impaurita dalla vita.

Lei così generosa, ma mai con se stessa e quando piange lo fa in silenzio. Per non disturbare.

Cerca sempre di accontentare tutti anche se a volte vorrebbe solamente fare quello che le pare.

Scrive ed è la sua consolazione: fra le parole che srotola sulla carta scioglie un po’ del suo cuore.

Dopo un’infinita giornata di lavoro arriva a casa  e si toglie i tacchi, si strucca il viso e si tuffa sul letto. Sul comodino c’è il quaderno dalla copertina spessa, in testa troppe storie da raccontare.

Perde la cognizione del tempo e si dimentica anche di cenare. Riempie i fogli come posseduta e scaccia a forza la malinconia che la aspetta nella penombra. Scrive della sua infanzia, di quando correva a perdifiato sui prati di montagna con lo sguardo rivolto all’insù, nel blu del cielo. Sale oltre le nuvole e poi cade come pioggia battente sui tetti della grande città dove ha vissuto per un po’, da adolescente. Colora i marciapiedi con le impronte delle tante persone che ha incontrato. Disegna i sorrisi, abbraccia la loro memoria. Accarezza i momenti brillanti: il primo amore bambino che non ha mai confessato, la merenda nella cucina bianca della nonna, il suo gatto tigrato, quel vestito rosso con la lunga sottana, il concerto di Natale con il profumo di incenso nelle narici, quel mazzo di fiori da sistemare nel vaso di cristallo, il tramonto che viene inghiottito dal mare.

I ricordi si mescolano alla fantasia avvolgendo Chiara come in una calda coperta di lana. Ogni immagine è viva davanti ai suoi occhi e nelle righe del suo notes ferma per sempre quell’attimo di eterno che non esiste.

Così la paura se ne va per un po’. Si rilegge e sorride nella luce tenue dell’abat-jour, finalmente in pace.

Poi si addormenta.

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Sinuosa

Attesa che sinuosa riposa all’ombra
respira silenzio.
Con le braccia incrociate sotto la testa
osservo la danza lieve delle foglie sospinte dal vento.
I grilli in lontananza.
Tutto questo mi appartiene,
come il momento che stringo fra le labbra.
Un sorriso disteso che accompagna pensieri
che come nuvole vagano, rincorrendosi nello spazio del cielo.
Un attimo racchiuso in questa terra verde
pulsa il colore e la freschezza.
La pelle assorbe sole e aroma, dipinta su sfondo luminoso.

Distendo rami croccanti
arrotolo chiome di foglie.
Solletico la terra con radici spesse che affondano.
Il lento scorrere di linfa fredda nelle venature lignee
mi ricorda lo stato.
Un albero, fisso in una brulla radura, senza nulla che riempia il suo sguardo.
Ma gli occhi non servono a capire
che questo è  desiderio diventato realtà.

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Ho già vissuto questo momento

“Mi sembra di aver già vissuto questo momento”. Non so perchè mi venga in mente questa tua frase proprio adesso. Ricordo tutto, eravamo seduti sul muretto fuori casa, io mi fissavo le punte dei piedi mentre ti ascoltavo raccontare. Non ti guardavo, ma avrei potuto disegnare la tua espressione: eri sempre così entusiasta quando raccontavi di te! Io mi stringevo nelle spalle per farmi più piccolo e lasciarti brillare in quella mattinata estiva. Muovevi le mani, gesticolavi sempre molto quando volevi sottolineare l’intensità di quello che stavi dicendo. E parlavi veloce, come per non rischiare di dimenticare le parole. Avrei passato tutto il mio tempo appeso alle tue labbra sottili, perso in quei momenti pieni di sole e della nostra amicizia.

Ti ho conosciuta quando andavamo alle elementari. Tu una bambina  estroversa, gentile ed aggraziata, io un ragazzetto timoroso, silenzioso e con la testa fra le nuvole.

Il nostro posto erano i boschi dietro casa, camminavamo in salita evitando i sentieri e tu mi chiedevi spesso di darti la mano.

“Vai troppo in fretta” mi dicevi  quasi per scusarti e allora io rallentavo, ma solo per un po’. Mi piaceva troppo quel contatto delle nostre dita e tu che mettevi il broncio e cercavi di dissimulare la stanchezza.

Eri forte e fragile allo stesso tempo, non lo so spiegare in altro modo: dotata di una sensibilità profonda e di una forza d’animo che invidiavo.

Hai camminato negli anni attraversando tempeste e temporali, giorni aridi e secchi che cercavano di prosciugarti l’anima e ne sei uscita sempre a testa alta, magari con gli occhi lucidi e qualche livido addosso.

Siamo stati amici per 20 anni prima di doverci separare definitivamente.  E non c’è stato un solo giorno in cui io non mi sia svegliato pensandoti. Che fosse amore l’ho capito presto, ma è rimasto un segreto da custodire e affondare nelle profondità del mio cuore. Così ho potuto starti vicino sempre, al di sopra di tutto e tutti. Io e te, contro il mondo.

Sono trascorsi due anni. Credevo ci sarebbe stato un colpo di scena nel momento in cui tu fossi sparita da questa Terra. E invece i giorni sono passati comunque. Che io mi alzassi dal letto o meno, che uscissi a fare la spesa o restassi in poltrona davanti alla tv.  Tu non c’eri più e non saresti mai più venuta a trovare conforto fra le mie braccia.

L’assenza della tua presenza fisica è dolorosa. Sento il vuoto che prima era il tuo posto.

Quel vuoto sarà sempre riservato a te.

Sono un uomo, se mi guardo nello specchio riconosco nello sguardo qualcosa di mio padre. Una severità data dal senso del dovere, che sembra  inghiottire tutti gli altri sentimenti. Ho gli occhi stropicciati da un’altra notte insonne, la barba un po’ selvatica, il sorriso tirato di chi vorrebbe,ma non ci crede fino in fondo.

Ti penso forte oggi, è il tuo compleanno. Ti ho comperato un quaderno a righe e una matita. Fra poco verrai a suonare al citofono, la mamma risponderà e ti dirà “ Ciao Anna, sì, Lorenzo scende subito” e io prenderò il pacchetto con il fiocco di carta e mi precipiterò lungo le scale.

Spalancherò il portone, incontrerò il tuo sorriso e ti dirò felice : “Mi sembra di aver già vissuto questo momento!”

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Insoddisfazione

Do il benvenuto a Scripta a Nicola Banal, condividendo il suo primo testo! Aspettiamo commenti e considerazioni in merito…

ATTESA
E così tu mi dici di dondolare e non pensare a niente?
Guarda che sono io qui aggrappato nel vuoto, con le sole dita.
Attendo di sapere se riuscirò a raggiungere il prossimo appiglio.
Respiro a fondo per ritrovar le forze e spiccare un altro balzo…
E così tu mi osservi, ridacchiando di nascosto?
Tendo i muscoli e mi lancio, ma non è ancora il momento.
Cado e provo dolore, provo rabbia, provo frustrazione,
ma non provo tutto questo per il semplice fallimento.
E così mi spieghi che io sono te da bambino?
Come un bambino non mi importa il fatto d’esser caduto,
sono al punto di partenza, ma mi rialzo e domani ci riproverò.
Anche se l’attesa che arrivi domani è insopportabile!!

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Attrazione

Le dita, come sentieri, segnano il percorso del mio desiderio.

Cadono gocce fini di pioggia e di te è tutto quello che mi resta.

Esistono amori imprigionati in enormi blocchi di marmo, come sculture mai intagliate. Esistono amori forti, che il coraggio estrae persino da cave profonde di dubbi e paure immense.

Sono rocce candide e lontane, figure stagliate sul bianco splendente, nel progetto abbandonato da un Cupido distratto.

Attendono che Canova le avvicini per sempre, appassionate ed immortali, nel tepore immaginario di labbra immobili.

Quel desiderio di un bacio non dato.

Attrazione perenne, mai paga.

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Stupore, con gli occhi di bambino

L’aria era fresca e la pioggia leggera la profumava appena di terra bagnata. A volte succede, di sfuggire alla felicità. Fa paura, la conquista di spazi nuovi nell’ignoto.

Da piccola avevo il terrore di tuffarmi in piscina. Mi mettevo a filo del bordo  della vasca solo quando non c’era nessuno a guardarmi. Mi fermavo incerta, tiravo un forte respiro e poi uno lungo. Non sapevo gestire il vuoto, quella sensazione dell’ inesplorato che circonda, la libertà che a volte si raggiunge solo precipitando in volo.

Tentavo di muovermi: un piccolo passo. Avanti e indietro, in un balletto doloroso ed infinito. L’acqua era azzurra e sembrava profondissima, mescolandosi alla mia agitazione; le narici dilatate, un’ignota paura mi faceva battere il cuore come un tamburo impazzito. E lì, improvvisamente, mi inventavo il coraggio. Con un gesto stupido, banale, istintivo. Stringendo forte gli occhi mi lanciavo giù dritta dritta, mormorando tre parole. E poi splash! L’impatto forte sulla superficie liquida e fredda, sconfiggeva finalmente i miei mostri. L’acqua mi accoglieva con mille spruzzi e il primo respiro dopo l’apnea era la mia vittoria.

Bisognerebbe ricordarsi quella sensazione di stupore nelle conquiste dei bambini: sono magiche! Sono scalate di montagne inespugnabili che si trasformano in un nuovo gioco, da abbandonare appena la mamma chiama per il pranzo.

Sono emozioni che si sentono  a fior di pelle e poi sprofondano dentro fino a raggiungere il cuore, per farlo traboccare. I bambini sanno vedere le cose vere, amano e si spaventano come se fosse il sentimento più importante al mondo. Non concedono dubbi.

Ma hanno bisogno di formule magiche, da ripetere come un mantra:

“Io posso farcela. Io posso farcela. IO POSSO FARCELA”.

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Con gli occhi di un bambino

Questo è un racconto di Deborah Bonazza: intenso e crudo, dolce e potente.

Buona lettura!

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Insieme – tenerezza

Condivido la poesia di Settimio Petrucci che trovo molto suggestiva e visionaria.

Buona lettura!

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